Il porta monete blu
Written by paola on giugno 03, 2022
Nei piccoli paesi con poco traffico e tanta umanità, la prima cosa che si conquista è l’autonomia.
La mia profumava di pane.
“Vieni, che ti do i soldi.” Mamma non usava vezzeggiativi.
Era proibito entrare da soli in camera di mamma e papà, nel primo cassetto del comò antico c’erano i “documenti”. Oltre la maggiore età ne capii il significato.
L’armadio, in noce inquietante, si apriva trattenendo il fiato. Ad ante spalancate sembrava espellesse l’aria, come volesse ringraziare della luce che gli entrava dentro.
Nel ripiano in basso, le borse. In primavera si usa il blu, diceva sempre. Da adulta, non lo indossai per anni.
Una forma trapezoidale, blu notte con i profili rossi, il manico rosso, un enorme bottone in pelle bianca, la borsa si apriva sul suo grembo. Il porta monete era blu, era prezioso, comprato da Giannina, uno storico negozio di pelletteria di Padova.
Troppo piccola per prendere da sola l’ascensore, i cinque piani di scale risucchiavo due a due, fino ad arrivare all’androne principale; sapeva di pulito. La strada saliva leggermente, era storica di san pietrini, di colombi assonnati e signore con il carrellino a due ruote. Era così stretta, che le case tagliavano il calore del sole, costretto a geometrie diverse nel cammino del giorno.
Pesava non più di quaranta chili, capelli arsi dall’ossigenazione, corti, scomposti, occhi azzurri come il grembiule che portava. Una acquisita conoscenza di cosa fosse una malattia reumatica, mi fece capire di cosa probabilmente avessero sofferto le sue mani. La presa era salda, la pagnotta stava tra le dita come in una morsa ricurva su se stessa.
“Quattro rosette e non comprarti porcherie.” La mamma era severa.
Aprivo le due “G” dorate che custodivano le lire. Troppo bassa per allungare la mano, facevo il giro del bancone, salivo sulla pedana e consegnavo alla signora bionda cinquanta lire.
Lei mi guardava, sicuramente pensava che una bambina in gonna a pieghe blu, calzettoni blu, scarpe blu e camicina bianca sarebbe stata meglio a rotolarsi nel fieno in campagna con pantaloncini e maglietta. Mi riscattai anni dopo. Dalla tasca del suo grembiule spuntava una barretta di cioccolata al latte, aveva violette stampate sull’incarto. Spuntava un sorriso ossigenato come i capelli, sincero.
“Siediti sul muretto e mangiala, prima di tornare a casa.” Le volevo un bene grande, mi regalava dolcezza.
Il sacchetto del pane scricchiolava e saltellava con me, il ritorno era in discesa. Il sapore dolce in bocca si tratteneva fino al giardino che accoglieva la casa. Come consuetudine, mettevo il pane in ascensore, la tromba delle scale rimbalzava la mia voce fino al quinto piano.
“Tira su, mamma, il pane è dentro.” La macchina infernale che aveva corde d’acciaio al posto delle gambe risaliva piano.
Era il momento più bello: uscivo in giardino, raccoglievo margherite e stavo seduta sul muretto a sfogliarne i petali.
Mama o non m’ama, lo capii da grande.
Ci sono amori diversi, espressi ed inespressi. Celati o condivisi, difficili e teneri, attenti e compiacenti, fulminei o meditati.
Ci sono amori che hanno un tempo per essere capiti, un’immediatezza per essere fraintesi.
Però ci sono. Come un porta monete blu. Oggi custodisce euro.
Custodisce ricordi, i valori grandi.
L’unica anormalità è l’incapacità di amare.(Anaïs Nin)
Paola Pierobon