Non voglio

Sentite, io sta cosa la devo dire.
Non voglio, lo so, non si dice.

Va bene, mi correggo, non vorrei diventare gobba.
Gobba al punto di non poter più guardare le stelle, ma solo contare i passi dei miei piedi o il numero dei san pietrini che calpesto.

Non vorrei (non voglio) essere solo una curva cieca, sempre un passo indietro a figure scocciate che devono aspettarmi.
Perché cammino piano, le gambe non reggono, l’equilibrio ogni giorno mi da un saluto di addio.

Non vorrei (non voglio) dimenticare tutto e ridere per niente, scambiando una persona per un cappello.

Non vorrei (non voglio) non poter più piangere, perchè di lacrime non ne ho più.

Non vorrei (non voglio) pesare sugli altri, sui miei figli, su strutture inesistenti per chi non può permettersele.

Non vorrei (non voglio) essere accompagnata da amiche a pagamento, che mi imboccano e  che non mi capiscono … la minestra mi piace calda! Ma che importa? Alle venti inizia la telenovela.

A che ora inizierà la mia? Forse mai, ma il pensiero c’è.
Coscienza mia che si fa?
La verità? Smetto di pensarci.
Ma quando affiora l’urgenza di scrivere, nessuno mi crede.
E fa bene.
Ci penso.

Intanto do l’acqua ai fiori, assetati, come credo noi tutti, di risposte.
Paola