Betty, amore alla radice

Written by paola on marzo 31, 2020
In terrazza c’era una cyclette, gialla, uno dei primi modelli.
C’erano anche tanti vasi grandi, petunie, rose, buganville, tulipani, bossi.
Un colpo d’occhio a 360 gradi volava sulla vallata.
C’era Polly, anche il soprannome era in sovrappeso.
Qualcuno che la amava aveva messo lì la cyclette, nella speranza che Polly capisse di salirci sopra.
“Devi fare movimento”, la voce di babbo come un mantra.
Un orribile completo boredaux, pantaloni in velluto a zampa, camicetta azzurra con collo a punta, golfino a V, in tinta.
Anni del liceo.
Un viso rotondo come la luna, un corpo burroso da troppa marmellata fatta in casa.
Era tanta la fatica, contro una natura ancora acerba, salire e infilare i piedi nei pedali.
Un grande vaso in terracotta, tra quelli un tempo curati da mamma, era del babbo.
Polly non capiva come un alfista sportivo e convinto potesse amare i tulipani.
Tre file ordinate, gialli, rossi, rosa intenso.
I piedi facevano girare i pedali a velocità media, gli occhi vagavano tra gli steli dritti a combinare i colori.
In un angolo, nascosta sotto una larga foglia di bulbacea, una piantina.
Era strana, le piccole foglie argentee. A Polly non sembrava vero di scendere dalla brucia grassi.
Poteva avere qualche settimana, l’aspetto era di gran salute.
“E’ una betulla!” babbo amava la natura e ne sapeva tanto.
Betty, la betulla, cresceva bene. Il tempo le dava spazio, in altezza e robustezza.
Conviveva con i tulipani, senza troppi problemi. In inverno restava sola, a custodire i bulbi protetti da un velo di attenzione.
Le stagioni passavano veloci, come la vita.
In una calda estate, il babbo.
Fulmineo, come il seme di betulla portato dal vento, un aneurisma se lo portava via.
Forse mamma era stanca di stare lassù da sola.
Non aveva mai guidato, babbo poteva finalmente farla salire sulla Alfetta 2000 blu e scorrazzarla tra le nuvole.
Il giardino pensile di una vita andava smantellato.
Betty no, Betty era un segno, era la confidenza tra un padre e una figlia, era l’argento delle foglie che giocava con il sole.
Qualcuno doveva accudirla, farla stare bene, le radici nella terra per Polly, la chioma in cielo per il suo babbo.
Vincenzo era il mestro degli alberi, dei cespugli e dei fiori. Ne aveva file colorate o monocromatiche, con il terreno asciutto o ben drenato.
La sua casa per piante era l’ideale.
Lì la Betty sarebbe stata bene, con spazio sufficiente per vivere, per sgranchire le radici, per fare ombra ad amiche imbarazzate dal calore del sole.
Un refolo di vento agitava le foglie, mentre mani esperte mettevano al riparo l’anima in una nuova terra.
Come in un viaggio, alla scoperta di luoghi e panorami, la piccola Betty si guardava intorno.
Ora Betty è grande, guarda in alto.
Polly scatta una foto.