“Sono di Falcade, per la precisione di un paesino sopra Caviola, Feder. Conosce?”

“Sì, conosco. A Falcade viveva lei, la mia amica del cuore, grande.”

Una fila artigianale, al sole di novembre, profuma di salumi, di vaniglia, di legno.

C’è bisogno di qualcuno che protegga, vigili, illuda.

I banchetti per la festa del Patrono lo rammentano.

Il vecchio, con un anno di più, modella sul tronco di Vaia un mestolo in legno.

Racconta una storia a bimbi incantati.

Scoppietta la resina di abete e larice, il fuoco richiama, i coni di carta gialla sono pronti, le castagne calde.

Vino rosso con bucce di limone e arancio, un po’ di zucchero, cannella o cardamomo.

Si usa bere il vin brulè. Non piace a tutti, riscalda.

“Cosa costano questi?”

Da un ramo dipinto di bianco, appese ad un filo, si muovono e si attorcigliano creazioni colorate, un gufo, una civetta, Babbo Natale, il fornaio, i bimbi con i capelli di lana, folletti con ali e scarpette a punta.

“Sette euro i piccoli, nove euro i grandi. Li fa un’anziana, passa il tempo, si compra i fiori al mercato del sabato, non trova nessuno a cui insegnare l’arte.”

Diventa difficile scegliere tra la bellezza, fatta di forbici, panno colorato, ritagli di angeli o di sciatori con le manopole rosse, luce bassa, ago e filo, fantasia, tempo, ricordi di una montagna prenotata su web.  

L’arte scende a valle, ricorda che esiste, finchè la signora del focolare di Falcade continuerà a tramandarla.

“il folletto giallo e la civetta rosa, mi dia questi, grazie.”

Chissà se l’anziana comprerà gladioli o un ramo di vischio, il prossimo sabato.

Le mani, fatti a mano.

Il cuore, quello è dentro.