E’ un sobbalzo.
Una frase masticata dall’incertezza di farla uscire, arrotolata dal fiato che fatica a bagnare la lingua.
Esce, da una bocca arsa di timore, una frase che confessa.

“Sono in stato di povertà”

L’ascolto s’arriccia , proprio dove il naso s’arrampica ad arrivare agli occhi. Il silenzio impercettibile, vero, stupito dell’udito, lascia il posto all’esuberanza del rifiuto.
Il rifiuto morale di una tale confessione si fa parola e racconta.

“La povertà

Non è
non avere forzieri pieni di liquidità che il mare può inghiottire in un flutto.
Non è
non poter indossare costumi il cui Nome è di altri.
Non è
non poter spaventare con il rombo di cilindri che consumano asfalto e chilometri.
Non è
non poter sedere a tavole dalle lunghe cadute e inaspettati balzelli.

La povertà

È
non avere delicatezza d’animo, curiosità di conoscere, slancio di capire, rispondenza in quei pochi secondi che fanno una vita.
È
non avere sollecitudine, coscienza, splendore, capacità di dare, stimoli per ricevere, desiderio di condividere.

Questa
È la vera
Povertà.

A te che confessi
Una povertà
Che è mera materia,
La ricchezza
Di
Un abbraccio”